Giustizia a pezzi: tra norma infranta e verità muta – “Der zerbrochne Krug” al Theater Münster
Molti giudici sono incorruttibili, nulla può indurli a fare giustizia.”
— Bertolt Brecht
Nel Krug messo in scena da Wilke Weermann al Theater Münster, la materia kleistiana viene interrogata non come testo da tramandare, ma come dispositivo tragico da riattivare. Il cratere infranto – oggetto minimo e insieme assoluto – non è più semplice pretesto drammaturgico, ma epifania di un ordine simbolico in rovina. Qui, ciò che va in frantumi non è solo un vaso: è l’illusione stessa che la giustizia possa autogiustificarsi.
Il giudice Adam, figura già ambivalente in Kleist, si manifesta ora come corpo decadente dell’autorità: trascinato sulla scena con la testa tumefatta, senza parrucca e senza pudore, egli incarna un potere che ha perduto ogni fondamento trascendente e si aggrappa alla pura forma del processo per sopravvivere. Ma ciò che accade in questa camera trasformata in tribunale è più che una farsa: è l’autopsia di una giurisdizione che non giudica più, ma si ripete, come un rituale svuotato.
Al centro di questo vuoto, la figura di Eve si staglia non più come oggetto passivo del desiderio e del sospetto, ma come soglia fragile tra silenzio e parola. In lei si concentra la tensione insostenibile tra verità vissuta e linguaggio normato: ha subito l’abuso, ha visto l’inversione dei ruoli, ha toccato l’impunità del colpevole. Ma ciò che la regia di Weermann rende radicale è proprio il momento in cui Eve prende voce: non come denuncia, ma come rottura dell’ordine simbolico. È qui che la scena implode. È qui che il testo si disarticola.
Il teatro, nella sua dimensione più essenziale, si fa allora giudizio immanente: non più rappresentazione di un processo, ma processo stesso. La scenografia spogliata, le luci glaciali, i costumi anacronistici – tutto coopera a far crollare la distanza tra finzione e realtà, tra il “là” del dramma e l’“ora” dello spettatore. L’Utrecht di Kleist diventa ovunque; il diritto consuetudinario patriarcale, che Weermann disossa con sottile ferocia, continua ad abitare il nostro presente.
Non c’è redenzione in questa lettura. Adam non viene punito, e questo non è un errore narrativo, ma una diagnosi dell’epoca: l’ingiustizia non ha bisogno di legittimazioni, le bastano le abitudini. Ma nella ferita aperta da Eve – nella sua voce non più contenibile – si apre una possibilità altra: quella di una giustizia che non coincida con la legge, e di una verità che non chieda permesso per esistere.
La verità è simile a una luce che, se troppo intensa, può accecare anziché illuminare.”
— Heinrich von Kleist
Der zerbrochne Krug si fa così tragedia del diritto e della parola: un luogo dove il riso si spegne sulla soglia dell’orrore, e dove il giudizio, finalmente, passa nelle mani dello spettatore. Chi ha visto, chi ha taciuto, chi ha riso: nessuno è innocente.
“Il capolavoro dell’ingiustizia è di sembrare giusto senza esserlo.”
— Platone