La sicurezza è soprattutto una superstizione. Non esiste in natura.
— Helen Keller
A Osnabrück, là dove l’ombra della Storia continua a parlare, si erge una struttura che non ospita soltanto un museo, ma una dimensione architettonica, una fenditura nella linearità del tempo, concepita da Daniel Libeskind il Felix-Nussbaum-Haus, un passaggio obbligato tra i detriti del XX secolo. I suoi corridoi non conducono: costringono. Non accolgono: pongono domande. E la più lacerante, oggi, è forse questa: "Sei al sicuro?"
Qui, il visitatore si inoltra nel labirinto della memoria attraverso oltre duecento opere di Felix Nussbaum, pittore esiliato, cancellato, infine riemerso come un testimone silenzioso dell’orrore. I suoi dipinti – realizzati prima della fuga, durante la clandestinità, fino agli ultimi giorni prima della deportazione ad Auschwitz – non illustrano: interpellano. I volti deformati, i paesaggi spezzati, la luce innaturale – tutto parla di una condizione umana sottratta a sé stessa, congelata nell’attesa dell’annientamento.
Eppure, questa è solo una metà del racconto.
L’altra metà si scrive oggi, in un presente che finge di essersi dimenticato come si teme. Ariel Reichman, artista berlinese di origini ebraico-ortodosse, irrompe nel Felix-Nussbaum-Haus con la sua mostra Keiner soll frieren! – “Nessuno deve patire il freddo!”. Ma il freddo evocato da Reichman non è meteorologico: è il gelo psichico che si annida nella percezione collettiva del pericolo, nella vulnerabilità non ancora elaborata.
Il suo percorso installativo trasfigura oggetti del potere nazista – medaglie, decorazioni, fiori rituali – in reliquie senza salvezza, fuse in sculture metalliche che non sublimano, ma inchiodano la memoria al presente. Come se la storia non fosse un capitolo chiuso, ma una materia ancora incandescente.
Al centro del suo intervento: l’installazione interattiva “I AM (NOT) SAFE”, una provocazione luminosa e muta, che si attiva solo con la decisione del visitatore. Un bottone. Una scelta. Sì o No. Sicurezza o minaccia. Ma la risposta non resta intima: si espone, si illumina, diventa segnale pubblico. In quel passaggio, il corpo singolo si scopre collettivo. E viceversa.
Reichman non costruisce semplici opere: apre fessure. Come nello “Spazio del Lutto”, ispirato alla pratica ebraica della Shiv'ah, in cui si sosta non per commemorare, ma per percepire la densità del vuoto. Qui, il dolore non è una reazione: è un luogo. Non è più solo quello di Nussbaum, ma nostro, attuale, presente.
Il dialogo fra Nussbaum e Reichman non avviene attraverso lo stile, ma attraverso il trauma. Uno dipinge da dentro la storia che lo ha condannato, l’altro tenta di ascoltarne gli echi nel nostro tempo smemorato. Entrambi ci avvertono: ciò che è accaduto non è solo passato. È un codice dormiente, pronto a risvegliarsi nella disattenzione di chi si crede al sicuro.
Per questo il Felix-Nussbaum-Haus non è solo un museo. È un atto etico, un dispositivo inquieto che obbliga a camminare dentro lo smarrimento. Libeskind lo ha pensato non come contenitore neutro, ma come architettura dissonante, interrotta, incapace di rassicurare. Le pareti non accompagnano. Costringono.
Chi varca le soglie del museo si muove tra il prima e il dopo della catastrofe. E capisce che la domanda non è se la storia possa ripetersi. Ma se noi sapremo riconoscerne i segnali prima che sia troppo tardi.
Nel gioco crudele dei secoli, ogni generazione dovrà rispondere alla stessa domanda: Mi sento al sicuro? E la risposta, come la luce di un’insegna al neon, non sarà mai conclusiva.
Non si fa arte per decorare pareti. L’arte è un atto di resistenza.
— Pablo Picasso
Felix Nussbaum Haus
Lotter Straße 2 – Osnabrück, Niedersachsen, Germany
Orari di apertura: da martedì a venerdì, dalle 11:00 alle 18:00 sabato e domenica, dalle 10:00 alle 18:00