Arsa

Masbedo Questo film è stato presentato a Roma film fest Arsa Drama • 2024 • 1h 36m

Su un'isola vulcanica sospesa tra incanto e desolazione, Arsa, una ragazza solitaria, vive in simbiosi con la natura, raccogliendo i relitti del mare e trasformandoli in creature fantastiche. Il suo isolamento, eredità di un padre scultore e ribelle, viene turbato dall’arrivo di tre giovani cineasti in cerca di storie. Mentre osserva il loro mondo da lontano, Arsa si confronta con la possibilità di essere vista. Un incontro tra paesaggio interiore e paesaggio naturale, tra mostruosità e bellezza, tra silenzio e sguardo.
Recensito da Beatrice 16. April 2025
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Abitare un’isola non è evadere dal mondo, è accoglierne un’altra forma.
( Jean Grenier)


In un lembo remoto di Stromboli, tra scogli lavici e vento salmastro, vive una giovane in simbiosi con l’isola: Arsa.  Cresciuta ai margini del mondo abitato, senza padre né madre, abita in una baracca vicina ad una struttura di ferro arrugginito simile a un relitto, riempita di bambole deformate, legate con spaghi e fili colorati. La sua esistenza è scandita da gesti rituali: raccoglie detriti marini, li pulisce con cura ossessiva e li trasforma in oggetti stranianti, sospesi tra creatura e scultura. Non vende nulla. Nulla chiede. Lontana da tutto, vive con l’acqua fino al collo.
Quando piccoli gruppi di visitatori attraversano l’isola cercando la fantomatica “Casa Luna”, Arsa li osserva nascosta tra i cespugli, usando un vecchio cannocchiale da nave, oggetto lasciatole dal padre. Studia i turisti da lontano come si osservano animali in un habitat estraneo. Per lei non sono presenze umane, ma eco dissonanti di un altrove rumoroso e sfuggente.
In passato suo padre, artigiano di sculture decorative per clienti esigenti, le aveva insegnato a modellare l’argilla e a fondere le parole con la materia. Ma un giorno, dopo una discussione con il committente, aveva distrutto ogni statuina con un martello, dicendo: “Questo non è vero, è solo ciò che si aspettano da noi”. Da allora Arsa ha continuato da sola, cercando un'estetica che non fosse accomodante, ma radicale. Un’estetica capace di contenere anche l’orrore, l’ambiguità, l’abisso.
Ogni giorno si immerge nel mare fino a perdere il fiato, trattenendosi sott’acqua come se cercasse di tornare in un grembo primordiale. Lì, tra anfore spezzate e resti umani, trova materia per i suoi mostri. Figure fragili e potenti, assemblate senza una logica apparente, eppure dense di significato, come sogni scolpiti dal silenzio.
Un giorno tre ragazzi, studenti di cinema, finiscono nella riserva per errore. Cercano storie, scorci, ispirazioni. Qualcuno parla loro di una strana ragazza che vive da sola e che costruisce “cose strane”. La curiosità li spinge a cercarla, ma lei resta sfuggente, si nega, si nasconde. La festa di compleanno di uno di loro è l’occasione per invitarla, ma Arsa non accetta. Si limita a guardarli da lontano, ascoltando il canto surreale di un venditore ambulante di gonfiabili sulla spiaggia, che intona melodie infantili come lamenti di plastica.
Intanto i ragazzi parlano di cinema, di registi che si affidavano ai sogni o addirittura ai medium per scrivere i loro film. Discutono se sia possibile conoscere davvero qualcuno, se i “non legami” non siano essi stessi una forma di legame. Arsa li ascolta senza farsi notare. Intanto riaffiorano in lei ricordi d’infanzia: il padre che le raccontava fiabe sui mostri, mentre impastavano terra e parole. E anche il giorno in cui tutto finì.
In un’ultima immersione, Arsa si spinge più in profondità del solito. Il mondo liquido la avvolge e la sommerge. Là sotto, tra il suono ovattato e il nulla visibile, sembra finalmente incontrare qualcosa: una verità, forse. Non l’artefatto, non l’oggetto vendibile, ma ciò che resiste alla forma: la bellezza dell’autenticità.
Non costruisce più per piacere, né per ferire: crea per esistere.
 E questo – anche se nessuno lo capisce – è già abbastanza.
La sua ricerca della bellezza e della mostruosità di cui narrava il padre non è ornamentale: è la bellezza dell’abisso, ed è tutt’altro che innocua.
Non è finzione, né commissione, ma ricerca, rottura perché noi non siamo quello che ci chiedono ma quello che scopriamo di noi. 
 

 
L’arte è la salvezza della materia rifiutata.
( Anselm Kiefer)
 

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