Invisibili

Invisibili

Ambra Principato

Drama • 2025 • 1h 43m

Elise, spettro dal volto eterno di bambina, e Tommy, adolescente afflitto da una sensibilità che nel film si pretende profonda ma si manifesta solo attraverso un’estetica del disagio. 

Recensito da Beatrice 13. July 2025
🤍 Like
View on IMDb
Essere visti è una forma di esistenza.
 — Jean-Paul Sartre

In un luogo e in un tempo sospeso — evocato come “fine anni Ottanta” ma svuotato di ogni concretezza storica — Invisibili si muove come un’anima in pena tra il regno dei vivi e quello dei morti non abitando davvero né l’uno né l’altro. Ambientato in un paese immaginario, il film ambisce a raccontare il dolore dei non allineati, di chi non trova un codice condiviso per esistere nel mondo. Ma nel tentativo di costruire una parabola sull’esclusione e sulla complessità dell’essere visti, inciampa su sé stesso, prigioniero della propria estetica e di una sceneggiatura che spesso confonde simbolismo con vaghezza.

Al centro ci sono Elise, spettro dal volto eterno di bambina, e Tommy, adolescente afflitto da una sensibilità che nel film si pretende profonda ma si manifesta solo attraverso un’estetica del disagio. Tommy disegna personaggi inquietanti, messaggi di un altrove psicologico che rimane illustrato, non vissuto. E quando rivolge ai suoi coetanei la frase “voi non sapete cosa corre nella testa di un pazzo”, il tono sembra più vicino a una provocazione teatrale che a un urlo reale di disperazione. L’eco della battuta — “se volete, colpite forte” — non lascia ferite, non vibra. È una minaccia priva di spessore tragico, perché mai guadagnata attraverso la narrazione.

Anche Elise, eternamente intenta a suonare un notturno di Chopin, pronuncia sentenze metafisiche come “la musica è per i vivi”, quasi a distinguere il suono dalla carne, l’arte dalla vita. Ma il film non è in grado di reggere la profondità delle affermazioni che pronuncia. “Dimmi che tu sei in grado di vedere la complessità”, chiede Elise — ma è il film stesso a dimostrare, scena dopo scena, la sua incapacità di sostenere la complessità che evoca. Ogni frase carica di pathos viene lasciata lì, come un oggetto sacro che non si osa toccare, ma che alla fine non ha rilievo.

Il tentativo di nobilitare l’invisibilità fallisce nel momento in cui la si romanticizza. I “diversi”, gli emarginati, gli “invisibili” — che qui dovrebbero incarnare l’alterità radicale — vengono trattati come santi o come fantasmi, mai come esseri viventi. Si dice che gli invisibili possano essere anche diabolici, portatori di una verità scomoda. Ma questa tensione tra infernale e umano non trova sviluppo, resta accennata, come se la sceneggiatura avesse paura di far male davvero. Dove dovrebbe esserci ambiguità, troviamo solo allegoria impolverata.

Rispetto al precedente lavoro della regista (Hai mai avuto paura?), Invisibili arretra, compiendo un passo indietro tanto nella scrittura quanto nella regia. Le ingenuità contenutistiche abbondano, e si percepisce spesso una fragilità autoriale che non viene riscattata nemmeno dalla messa in scena. I dialoghi suonano scolastici, la recitazione è disomogenea e in più punti sfiora l’amatoriale, incapace di sostenere il peso delle parole che vuole pronunciare.

La farfalla bianca, che si vuole simbolo del passaggio tra vita e morte, si posa su ogni scena come un emblema che invece di chiarire, copre. Deriva da un ricordo d’infanzia della regista — una morte accidentale, il trauma dell’ignoto — ma nel film diventa solo decorazione spirituale, un’idea visiva che viene ripetuta fino all’esaurimento, svuotata del suo potenziale perturbante.

Invisibili cerca una sua identità tra teen drama, racconto gotico e dramma psicologico, ma finisce per aderire a nessuno di questi codici. È un film che parla della necessità di essere visti, e tuttavia non riesce a vedere nemmeno i propri personaggi. Si dice che il tempo sia tutto ciò che abbiamo — ma quello che manca, qui, è il tempo dell’elaborazione, del rischio, della trasformazione vera. Il film vuole esplorare il confine tra mondi, ma non ha il coraggio di sporcare le mani con ciò che separa davvero i vivi dai morti: il dolore senza narrazione, la follia senza forma, l’amore che non salva.

E alla fine, ciò che resta non è commozione, ma una forma di vuoto. Una malinconia sterile, incapsulata in una confezione gotica che non osa davvero né il buio, né la luce.

Non si muore per essere morti. Si muore quando si è dimenticati.
 — Isabel Allende
 

Loading similar movies...