La sofferenza ci minaccia da tre parti: dal nostro corpo che è destinato a deperire e a disfarsi; dal mondo esterno che contro noi può infierire con strapotenti spietate forze distruttive; e infine dalle nostre relazioni con altri uomini.
(Sigmund Freud )
Marco è il figlio di un tranviere; la madre, ormai morta, ne custodiva con amore le poesie, come fossero un segreto puro e incontaminato. L’assenza materna lascia un vuoto incolmabile, mentre la figura paterna, pur presente, non riesce a fare da argine al naufragio esistenziale del ragazzo.
Marco il sabato esce con qualcuno e questo qualcuno decide cosa Marco deve fare…
La tensione tra libertà e controllo si concretizza nell'uso compulsivo di alcol e sostanze: Marco anela la libertà, ma si incatena a un bisogno autodistruttivo che diventa l’unica modalità per affrontare il male di vivere. La poesia, inizialmente valvola di sfogo e promessa di bellezza, si trasforma in una testimonianza insopportabile del fallimento personale, al punto da essere distrutta nel fuoco, quasi a voler negare l'illusione di una possibilità altra.
Il film si configura come un'esplorazione poetica e drammatica dell'esistenza umana, tracciando il percorso di Marco Tramonti, giovane poeta in fuga da sé stesso e dal dolore che permea la sua vita.
Il film pone domande fondamentali sull’impossibilità della redenzione e sull’ostinata ricerca di un significato che si sfalda di fronte alla brutalità della realtà. L’incidente stradale, privo della catena di custodia che lo inquadri e lo controlli, diventa simbolo dell’esistenza stessa: un evento caotico che non trova spiegazione né riparazione.
La cooperativa di pulizie in ospedale rappresenta una sorta di purgatorio contemporaneo, uno spazio di redenzione possibile attraverso il lavoro, la condivisione e la solidarietà, ma Marco vi si muove come un'anima sospesa, incapace di radicarsi e accettare una routine che non lo liberi dal suo tormento interiore.
Zingaretti attraverso una rappresentazione popolare, molto televisiva, costruisce una narrazione che alterna cinismo romano e delicatezza poetica, come se il dolore non potesse mai abbandonare del tutto la sua dimensione collettiva. La sofferenza di Marco è tanto personale quanto universale, figlia di un’epoca disillusa e priva di miti consolatori.
La casa degli sguardi non è un film di riscatto, ma un ritratto dell’umana fragilità e della necessità di resistere nonostante tutto. È una riflessione sulla natura dialettica del dolore e della felicità, sull’idea che la bellezza, come il male di vivere, si nasconda nelle crepe, nei gesti di cura reciproca, nell’inevitabile compromesso tra ciò che si sogna e ciò che si diventa…. se si riesce a diventare qualcuno o qualcosa.
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia riarsa,
era il cavallo stramazzato.
(Eugenio Montale)