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Night Stage

Night Stage

Marcio Reolon E Filipe Matzembacher

Drama • 2025 • 1h 59m

Recensito da Beatrice 14. February 2025

Il corpo non è mai neutro: è sempre un campo di battaglia tra il piacere e la norma.

Il film si muove su un crinale precario tra il melodramma e il thriller, tra l’erotismo e il grottesco, intrecciando una narrazione che indaga desideri, pulsioni e potere in un contesto di spettacolarizzazione dell’intimità. La storia di Matias e Rafael si sviluppa lungo un asse di tensioni opposte: la necessità di esistere attraverso lo sguardo dell’altro e la ricerca di un’autenticità che si scontra con il rischio e la trasgressione. L’ambientazione – teatro, provini, incontri clandestini e luoghi oscuri – diviene un palcoscenico dell’identità liquida, della performatività dell’essere.

La danza di Matias e Fabio si fa metafora di una lotta interiore ed esteriore, una coreografia che si dispiega tra corpi che si sfidano, si possiedono e si smarriscono nel desiderio di prevalere. Ma chi è lo spettatore ultimo di questa messa in scena? La società che assiste e giudica, il voyeur che scruta dal buio o il personaggio stesso, incapace di sfuggire al proprio riflesso in una rete di ambizioni e derive?

Il dogging, pratica sessuale che fonde l’eccitazione con il rischio, emerge nel film non solo come scelta erotica estrema, ma come allegoria dell’individuo contemporaneo in bilico tra anonimato e desiderio di esposizione. L’attrazione per il pericolo, la tensione tra il nascosto e il rivelato, disegna un’ossessione contemporanea: l’essere visti, riconosciuti, desiderati. In questa dialettica, Rafael – politico in ascesa – incarna la doppiezza di un potere che si fonda sull’apparenza pubblica e sul desiderio privato, mentre Matias assorbe e fa propria la lezione: prendere ciò che si vuole, senza considerare le conseguenze.

L’eros si tinge di thanatos quando il gioco supera la soglia del controllo, quando l’eccitazione si mescola con la minaccia, quando la ricerca del piacere si confonde con l’autodistruzione. Il film non si limita a rappresentare un fenomeno culturale, ma lo interroga senza moralismi espliciti: è una celebrazione o una critica? Un ritratto del desiderio sregolato come forma di libertà o il sintomo di un’esistenza scissa, alienata, incapace di connettersi realmente con l’altro se non nel brivido dell’istante?Un inno o un biasimo del fenomeno o semplicemente un modo per trattare un costume, a quanto pare piuttosto diffuso?

Un godimento patologico scisso da qualunque responsabilità e relazionalità o la rappresentazione di una modalità di alienazione?

L’opera si rivela ingenua, persino elementare nella sua costruzione narrativa, oscillando tra una poetica disarmante e una messa in scena contenutisticamente e stilisticamente fragile. Tuttavia, proprio questa semplicità contribuisce a un effetto perturbante: la realtà che racconta appare in bilico tra il banale e l’abissale, tra l’ingenuità di un gioco pericoloso e la radicalità di una condizione esistenziale. Il film mette in scena la lotta tra inautenticità e rappresentazione, tra il bisogno di esistere e l’impossibilità di sottrarsi allo sguardo dell’altro. Un dilemma antico, amplificato dalla società dello spettacolo, dove la linea tra il vivere e il recitare si fa sempre più sottile.

Il godimento acefalo è senza legge, senza simbolo, senza Altro.

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