Cheonggyecheon, zona spettrale ai margini di Seul, che vede la nascita dell'attuale capitalismo coreano, con un'umanità schiava del lavoro, in condizioni di degrado fisico e psichico.
Prima scena, una sedia a rotelle, un gancio, una catena: un omicidio.
Kang Do vive in completa solitudine in un appartamento con affaccio su una parete ove è scritto: " per sempre Alleluja". La sua occupazione è raccogliere i crediti degli usurai. I debitori firmano una polizza che prevede una riscossione di denaro nel momento in cui, impossibilitati a risarcire il debito, verranno storpiati per garantire la restituzione del prestito decuplicato in pochi mesi.
Kang do non esita a procedere al rituale in quanto si accanisce contro la mancanza di responsabilità di coloro che chiedono denaro senza essere in grado di restituirlo.
Un giorno inizia a seguirlo una donna di mezza età che si intrufola anche in casa. Afferma di essere la madre, la quale pentita e prostrata vuole farsi accettare e perdonare per averlo abbandonato trenta anni prima.
Gli prepara il pranzo, lo accudisce e lavora alla calza un maglione, fino a portarlo a fidarsi di lei, a lasciarsi andare e a iniziare a rendersi conto della vita che conduce. Il problema infatti sarà continuare a vivere di fronte ad un esercito di uomini e donne vendicativi ridotti alla marginalità per storpiature da debiti. Kung Do inizierà a prendere consapevolezza di fronte al denaro, alla vita, alla morte, alla vendetta e all'amore che ha iniziato a scoprire.
L'esito della storia non è svelabile se non assistendo alla visione di questo gioiello cinematografico.
Cos'è il denaro: l'inizio e la fine di tutto, il portatore simbolico di tutti i valori, il riscatto per un abbandono irresponsabile, la rincorsa ad una vita di schiavitù dove tutto diventa degrado e morte. Il risarcimento attraverso la richiesta di responsabilità non si compie, la vendetta avrà la meglio. Aver provato l'amore materno senza esserci cresciuti crea dipendenza distruttiva.
Denaro, vita, amore, morte, vendetta, responsabilità: ancora una volta Kim Ki-duk ci meraviglia con la presentazione del capitalismo estremo e delle sue conseguenza, del degrado umano, attraverso le ferite e le fratture che il materialismo determina svuotando l'esistenza di qualunque senso residuo.
"Un film dedicato a tutta l'umanità", sostiene il regista, " i miei film sono gli occhi attraverso i quali vedo la realtà". Una rappresentazione della pietà per le vittime e i carnefici del capitalismo.
Seduce e convince definitivamente il suo ritratto sconvolgente.
Difficile rientrare in sala dopo questa esperienza, se non per vedere qualcosa di altrettanto geniale e artistico.
L'unico terribile timore che non vinca la 69 mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Un timore che dovrebbe confrontarsi con una grande responsabilità e magari alimentare spirito di vendetta nei confronti di un mercato che decide a prescindere dalla qualità.
Una straordinaria imperdibile opera d'arte.
Vince il Leone D’oro alla mostra di arte cinematografica di Venezia.