triangle of sadness

Ruben Östlund Triangle Of Sadness Drama • 2022 • 2h 29m

Recensito da Beatrice 03. May 2023

La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come TRAGEDIA, la seconda come FARSA.

Incipit

Un “ubermensh ariano” gay intervista modelli e evince che basta essere di bell’aspetto per fare questo lavoro, ma occorre anche saper camminare, chissà che si riesca a farlo contemporaneamente.

L’alternanza tra fare la faccia H&M e la faccia Balenciaga è esilarante… il lusso prevede il broncio, mentre il marchio pop il sorriso.

Prima parte: Yaya e Carl

Lei è una influencer e lui un modello: imbarazzante discussione al ristorante su chi deve pagare il conto e perché. Lo stesso imbarazzo che Östlund costruisce su The Square, quando dopo un rapporto sessuale due discutono su chi debba gettare il profilattico e perché.

Stereotipi maschio/femmina, retaggi culturali e presunta uguaglianza.

Seconda parte: lo Yacht

Crociera di lusso: l’equipaggio al motto “money, money, money” ossia ottenere una lauta mancia, deve rispondere sempre che tutto è possibile, anche quando la richiesta di una ospite russa pretende che tutto il personale faccia una nuotata, per dare una risposta di falsa uguaglianza alla sua “coscienza”, che artificiosamente chiede un cambio di posto tra padrone e servitù.

E mentre qualche altro ospite deluxe fa notare che le vele sono color grigio chiaro mentre sul depliant erano bianco candido inizia ad avvicinarsi la tempesta.

Il capitano non vuole uscire dalla sua cabina mentre suona “scandalosamente” l’Internazionale in tutto lo yacht, è ubriaco ed evidentemente non ce la fa ad incontrare tutti quei multimilionari, lui che specifica di non essere comunista ma marxista.

La cena del capitano si farà e uno scontro di aforismi e citazioni marxiste e reaganiane sarà il derby tra il conduttore dello Yacht e il capitalista russo che “vende merda”, mentre agli ospiti vengono serviti ricci di mare con estratto di alga e polpo grigliato e affumicato al fumetto di lime…

Il mare è in tempesta e le onde di vomito sono più alte di quelle saline, mentre i cessi strabordano di liquame umano: l’equipaggio offre caramelle allo zenzero.

Il capitano mangia hamburger e patatine:

“i ricchi ripuliscono la coscienza con la filantropia, senza guardarsi in faccia e pensare…”

La nave sta affondando mentre i due rivali con citazioni illustri pop/rap, si divertono come pazzi.

Terza parte: l’Isola

Il naufragio è avvenuto e solo pochi approdano su un’isola, sulla quale arriva anche una scialuppa con a bordo la manager dei cessi Abigail, l’unica che conosce le armi della sopravvivenza, come il fuoco e la pesca, e che esercita la legge del contrappasso soprattutto quando si intrattiene con il giovane Carl in notti calde al ritmo di bastoncini pretzel.

“A ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”… mentre il mare si riempie di corpi morti deluxe che galleggiano con i giubbetti salvagente.

Tutto qui.

Il brand Ostlund è servito, riconoscibile, sfrontato, codificato.

Il capitano Ostlund non esita a porgere su un piatto d’argento la sua visione anticapitalista e questo è molto interessante, raro.

Meno è la modalità con la quale la serve: accattivante, mainstream, seduttiva.

Evidente la sua necessita di arrivare, di comunicare a tutti, di giocare con lo spettatore, con il mercato e di schernire il sistema: grande talento.

Nei suoi film, soprattutto in questo, il regista di Forza maggiore, è il capitalista, il capitano marxista che vende il suo prodotto di lusso e adopera il lusso per fare profitto.

Sa bene che “vende merda” come l’ospite russo e lo fa perché deve ripetere i suoi concetti in modo chiaro, quasi idiota, come se volesse dire: avete capito meravigliosi imbecilli?

Triangle of sadness è il triangolo dell’idiozia piuttosto che della tristezza; quell’espressione rugosa che fa chi non comprende. Pertanto vuole che i suoi spettatori capiscano con chiarezza i suoi messaggi e abbiano un’espressioni divertita, non corrucciata.

Oslund produce e veste H&M ma vende Balenciaga…

Vince la Palma D’oro a Cannes, a distanza di pochi anni, perché è un abile produttore di profitto; e come si fa profitto? Feticizzando la merce.

Niente di più lontano dalla sofisticata, metaforica opera d’arte anticapitalista di Lars von Trier, Dancer in the dark…ma quella è TRAGEDIA!

Nell’epoca della FARSA non resta che fare profitto alla faccia del capitalismo!

Chapeau Ostlund!

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