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La terra dell’abbastanza

La Terra Dell’abbastanza

Fabio D’Innocenzo • Damiano D’Innocenzo

Drama • 2018 • 1h 36m

Recensito da Beatrice 07. August 2024

Abbastanza. Ovvero, sufficiente ma non soddisfacente. Le approssimazioni accontentano ma non sempre bastano.

Un panino con la cicoria in macchina.

Risate, amicizia, complicità.

Uno slang borgataro parlato con la bocca piena, perlopiù incomprensibile ma efficace.

Periferia Romana, Ponte di Nona, fuori il raccordo anulare.

Mentre la macchina cammina un tonfo, un corpo a terra, che fare?

La fuga, forse nessuno ha visto.

Il padre di Manolo, che vive in un garage suggerisce di non dire niente, non parlare con nessuno.

Mirko vive con la madre che ama follemente, anche la fidanzata è una figura molto importante nella sua vita.

Quell’uomo investito durante la notte è un pentito della criminalità romana e occorre approfittare dell’occasione per entrare nel giro del clan rivale: l’occasione è unica sostiene il padre di Manolo, è il momento della svolta.

La manovalanza (ir)rinunciabile della criminalità richiede omicidi, spaccio, sfruttamento della prostituzione, anche minorile.

Ma non basta essere figli dell’abiezione per diventare criminali.

Non basta avere un amico/fratello con cui condividere la sorte per continuare ad esserlo.

Non basta avere iniziato a delinquere per riuscire a sopportare quella vita.

Manolo propone, Mirko non comprende.

Non basta l’amicizia, non bastano i soldi, non basta il cinismo, il disincanto.

La terra dell’abbastanza non “abbasta” a Manolo che spiega a Mirko come “non pensare per agire” nonostante continui a sentire qualcosa di più grande di lui.

Manolo indossa una maschera dietro la quale aleggia un sentimento di angoscia improrogabile.

Uccidere, spacciare, sognare un’altra vita mentre si distribuiscono acqua e preservativi alla manodopera asservita sulle strade e mentre i boss testano i corpi esanimi delle nuove minorenni appena arrivate.

Non si può comprare tutto non basta spendere tremila euro per il compleanno della sorellina, lo sguardo della madre inquieta e turba la rimozione della colpa.

Il primo esperimento dei fratelli D’Innocenzo è perfettamente riuscito: farà da apripista ai concetti ricorrenti dei lavori successivi: il mondo meschino degli adulti, l’opacità del modo, lo sguardo dei bambini e degli adolescenti, il suicidio, la claustrofobia esistenziale, l’ontologia della miseria umana.

L’incapacità di abdicare alla semplificazione: dietro al male non c’è solo la superficialità di una non scelta ma il conflitto, il dolore, anche se irriflesso, anonimo, impersonale.

Per il boss, il capitale non è mai abbastanza ma la forza lavoro, la manodopera si sporca le mani per lui, e non tutta la classe operaia è pronta a lavorare a quella catena di montaggio disumana e abietta alla base del plusvalore prodotto dal pluslavoro con l’aggravante del peso insopportabile della psiche, laddove l’indifferenza non regna e lascia spazio al problema della colpa e della responsabilità.

Non tutti sono strutturati a reggere il peso del mondo, anche la criminalità prevede un talento: coniugare il male con la banalità e l’indifferenza.

Vivere a lungo dipende dal destino, vivere abbastanza dipende dalla saggezza.

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